Dai molti dati che ci sono giunti dalla Cina in questo periodo, emerge un elemento che, sebbene non abbia niente a che fare con la pandemia in senso stretto da Covid-19, sembra però una sua diretta conseguenza: il boom di richieste di divorzi registrato alla fine del periodo di quarantena. Nonostante il diverso substrato culturale di partenza, la lunga esperienza di segregazione e convivenza forzata potrebbe produrre analoghi effetti anche alle nostre latitudini? E’ bene prepararsi.

Una prima ipotesi che possiamo fare per tentare di spiegare il fenomeno, qui come in Cina, riguarda il fatto che durante il periodo di quarantena gran parte delle persone normalmente impegnate fuori casa per lavoro siano state costrette dentro casa, alle prese o con una inedita inattività, o con forme di lavoro a distanza mai prima sperimentate. Una condizione, come è facilmente comprensibile, che già di per sé ha provocato in molti una condizione di forte stress.

A contribuire al quale, però, c’è stata anche la modificazione degli equilibri nei rapporti di coppia, indotta appunto dalla permanenza coatta e prolungata in un comune spazio ristretto. Modificazione non del tutto, e non per tutti, destinata a rientrare con la fine del lock down. E’ infatti facilmente immaginabile che anche nelle fasi 2 e 3 si assisterà all’emergere di nuovi assetti della vita di coppia: regole diverse condizioneranno lo stare insieme, e la quotidianità che si instaurerà dopo l’inedita esperienza non risulterà analoga a quella precedente alla quarantena.

Facciamo mente locale sulla ripartizione dei compiti all’interno delle famiglie.

Vari aspetti che hanno caratterizzato la fase 1, così come quelli che segneranno le fasi 2 e 3, sono destinati a incidere sugli equilibri della vita personale, nonché su quelli della vita di relazione – stante, come è ovvio, che la ”relazione” con il Covid (fatta di timore del contagio, condizionamento profondo della vita quotidiana, ecc.), per quanto pervasiva e globale, non può in nessun caso esaurire il panorama delle relazioni che appunto ci costituiscono come persone.

Capitava frequentemente, prima della pandemia, di sentir dire a una coppia che ”non c’è mai tempo” per fare niente: né per parlare, né per condividere qualcosa, né per stare insieme. In un modo o nell’altro, per un motivo reale o immaginato, il tempo – questa dimensione complessa entro cui si dispiega, e trova spiegazione, la nostra esistenza – sembrava mancare sempre.

Ecco però che con il lockdown, e ancora nella fase attuale, gli stessi individui prima alle prese con una simile problematica, si trovano improvvisamente immersi in un’esperienza del tutto inedita: il ”dono”, se vogliamo chiamarlo così – intendendo per ”dono” un’improvvisa, inattesa, disponibilità di un qualche ”bene”, prima mancante – proprio di quel tempo che prima sembrava sfuggisse.

E’ un fatto che ”prima” del Covid (sarà frequente, d’ora in poi, in tutti gli ambiti, parlare di un ”prima” e a un ”dopo” pandemia, come di una sorta di nuovo riferimento non solo storico-cronologico, ma anche ermeneutico-conoscitivo) le giornate delle coppie – in modo ancor più netto se con figli – fossero scandite da una serrata suddivisione dei compiti da svolgere (portare i bambini a scuola e riprenderli, fare la spesa, pulire casa, eccetera), fine settimana compresi. Un meccanismo con ingranaggi specifici, tutti ben stabiliti e sincronizzati (da cui il diffondersi delle chat di famiglia), pena, in caso di imprevisti, il disagio di dover riprogrammare tutto. E magari far saltare l’intero precario, ma fondamentale, equilibrio che consentiva di far sopravvivere il sistema coppia/famiglia.

Investiti, adesso, da ore ed ore di tempo ”vuoto”, la domanda è stata: come impiegarlo, questo surplus di tempo a cui nessuno era abituato? A cosa dedicarlo?

È ovviamente necessario sottolineare la profonda diversità fra l’esperienza delle coppie che hanno affrontato l’isolamento convivendo, e quella dei partner che per qualche motivo (lavoro, impossibilità di spostarsi, ecc) hanno vissuto questo periodo separati. E’ però possibile individuare un fattore comune a entrambe le situazioni.

La comunicazione è un elemento fondamentale della vita condivisa. E condividere significa mantenere viva l’intimità, che è un legame fatto di affetto, di attenzioni reciproche, di scambio di sensazioni e di sentimenti. Il fatto di non dover essere costretti, nella vita ‘normale’ prima del lockdown, a vivere in contemporanea ogni momento della giornata e ogni luogo della casa, consentiva ai partner di ritagliarsi un proprio spazio di vita personale (il posto di lavoro, le relazioni con i colleghi, una passeggiata, la visita ad un amico, la pratica di uno sport, eccetera), all’interno del quale coltivare una pratica di sano distanziamento dalla relazione affettiva con l’altro.

Una vera relazione, infatti, deve mettere nel conto che l’altro resti appunto ‘altro’, in modo che la distanza che viene così a crearsi fra i partner diventi il percorso libero, e sempre rinnovato, della scelta reciproca, lo spazio da percorrere perché un incontro sia una continua, vicendevole, scoperta, e non una stanca ripetizione di ciò che è noto, destinata a deteriorarsi in una illusoria simbiosi, o nel fagocitamento del più debole da parte del più forte.

Durante la quarantena, spazi e tempi di un distanziamento ‘sano’ fra partner sono saltati, e l’esperienza del deterioramento si è manifestata in modo inedito e spesso doloroso per entrambi. Niente di grave, purché, però, possibilmente col supporto di un esperto, le difficoltà vengano affrontate sul nascere e nel modo giusto, ovvero rendendosi conto della necessità di tenere costantemente aperto il canale della comunicazione e del dialogo. Solo così, infatti, si può evitare che il disagio si strutturi e i fraintendimenti prevalgano sulla comprensione, e sulla disponibilità a entrare nelle ragioni dell’altro e a contemperarle con le proprie. Impegnati in questo compito, i partner devono riuscire a ridefinire i propri spazi vitali, sia come coppia, che come singoli individui, dandosi reciprocamente la possibilità di conoscersi e ri-conoscersi. Magari alla luce della ‘scoperta’, resa possibile – sorprendentemente – proprio durante la quarantena, di ciò che di nuovo e di positivo era nascosto nella loro relazione.